Logo Navuss

A CIASCUNO IL SUO

Cultura  | 01 June 2025

A CIASCUNO IL SUO

con dedica a Dino Villatico e Giorgio Linguaglossa, ostinati e contrari

Non vi racconto del romanzo di Sciascia del 1966, che in epigrafe, presa da Poe, da I delitti di rue Morgue, pubblicato per la prima volta nel 1841 sopra le pagine de The Graham’s Magazine di Filadelfia, ci avverte: “Ma non crediate che io stia per svelare un mistero o per scrivere un romanzo.” E tale avviso non potrebbe soccorrermi meglio.

Vi racconto invece che l’altra mattina ho intercettato sul profilo di Antimo Amore, giornalista Rai, un vecchio motto di Don Lorenzo Milani che, da par suo, avverte: “Un operaio conosce 100 parole, il padrone 1000. Per questo lui è il padrone.” È una affermazione che a distanza di cinquanta, sessant’anni, fa ancora accapponare la pelle, ma che allora avrebbe dovuto fare letteralmente incazzare come una bestia; basti pensare solo alle lotte contadine in Lucania condotte da Rocco Scotellaro nei primi anni ‘50, e invece ce la ritroviamo ancora a fare bella mostra di sé e di niente come invito allo studio.

Lo studio?

Con questa chimera dello studio si sono ingannate almeno tre, quattro generazioni di italiani, lasciati a invecchiare per anni appesi come salami ai fumi delle università italiane, inventandone addirittura di nuove a buon piazzamento del ricercatore sputato dalla antica università dove non avrebbe trovato mai posto ma, ahimè, questo in qualche modo, bravo o no che fosse ma sicuramente raccomandato, doveva essere sistemato, se non proprio a Bologna, chessò, a Teramo. Oppure che non ti vuoi inventare una nuova università privata come gli Americani, dove ficcarlo come docente di qualche inutile master. Ricordo, dentro un sorriso, quando un giugno, riuniti sul Conero nel ricordo di Francesco Scarabicchi, il nostro poeta più giovane, Umberto Piersanti, con invidiabile energia, con invidiabile allegria, con invidiabile onestà intellettuale, confessò pubblicamente che ottenne la sua cattedra di Sociologia della Letteratura nella Facoltà di Lettere e Filosofia alla Università degli Studi di Urbino Carlo Bo (che targa 1506) non perché fosse il più bravo ma perché era sicuramente il più raccomandato – io sono entrato nella Facoltà di Sociologia una sola volta perché avevo urgentemente bisogno di un bagno e devo ammettere che mi fu davvero utile; è successo la primavera scorsa, a Urbino, sì!. Insomma, così siamo finiti. Così siamo finiti a non fare più figli. Per colpa di una Chimera.

Ma tornando a Don Milani, il padrone detiene troppa ricchezza rispetto al lavoratore, al salariato, al proletariato, per questo è padrone e padrone resta perché accresce con lo sfruttamento dell’operaio il proprio patrimonio, il proprio Capitale; questo operaio sempre più precarizzato e impoverito e sempre più premuto verso la povertà pur lavorando, che tra poco sparirà definitivamente con tutta la sua fame dal ciclo produttivo sostituito integralmente dalle macchine – finalmente! Dai; dai che ce la fanno di questo passo a farli tutti fuori. E questa ricchezza, troppo spesso, non è mai direttamente proporzionale al grado di istruzione e di cultura del padrone, basti avere ad esempio Donald Trump, o quello che era il Nordest, o, ancora più vicino, la nostra Vibrata. Già 177 anni fa Marx ed Engels lamentavano che non è mica giusto che l’operaio riceve come prestatore d’opera dal suo padrone solo quanto gli è indispensabile per vivere. Oggi, invece, siamo arrivati al punto che il proletario non riceve neanche più questo, ché per arrivare almeno a fine mese dovrebbe essere pagato 1/3 in più di quello che gli è riconosciuto attualmente, quando per avere una vita almeno dignitosa dovrebbe essere pagato allora il doppio di quello che oggi gli dà di paga il suo padrone. Padrone che non può essere più legittimato a trattenere nelle proprie tasche tali quote percentuali di dignità derivanti dal prodotto e dall’utile scaturiti dalla forza lavoro – e  questa assicuratagli dal bisogno e sempre più a buon mercato.  E si porta avanti oramai da troppo tempo, da padre in figlio, questa catena a strozzo padronale inanellata dal bisogno e dal mito del lavoro, che non ha mai nobilitato l’uomo, che da sempre lo umilia, fino a ridurlo a bestia piegato fino alla carità dalla necessità di aver denaro per campare.

L’uomo non è fatto per lavorare, che sia chiaro!, ma per praticare, con intelligenza, con creatività, la propria ricerca di crescita intellettuale e spirituale attraverso il fare di sé persona, cioè per emanciparsi ogni giorno che ha fatto Dio dall’atavismo animale – c’è quel magnifico passaggio del Vangelo dove Gesù ci dice: “Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.” (Matteo 6, 25-33). È proprio vero che in questa Europa fatta dal cristianesimo, non ci sono più cristiani ma solo preti.

Allora dico, oggi per allora, a Don Milani, che conosco un poeta che di parole ne conosceva tantissime e che sapeva usare il suo vocabolario come nessuno mai era riuscito a fare prima di lui nella sua lingua madre, ché seguiva il ritmo della musica dei negri, ma anche dei bianchi, ma a lui piacevano di più i negri, eppure, nonostante tutte queste parole che conosceva, è morto alcolizzato e povero. Le contava le parole che scriveva, perché le sapeva pure scrivere e leggere e cantare molto bene – benissimo le sapeva cantare tutte quelle parole che conosceva: ne batteva a macchina migliaia ogni giorno. Una volta, pur di non fermarsi di scriverle perché costretto a cambiare foglio nella macchina per scrivere, ci infilò nel rullo gommato le pagine di un rotolo da telescrivente. Un lungo rotolante rotolo continuo di fogli bianchi, tutti da scrivere senza fermarsi. È morto povero, da alcolizzato. E anche il grande artigiano fiorentino della parola non mi risulta se la passasse assai bene ai suoi tempi.

Ma poi non è mai dipesa dal numero delle parole che si conoscono la qualità della vita di un uomo. In letteratura, ad esempio, non conta tanto il numero delle parole che si conoscono, bensì l’uso che se ne fa per dire le cose del proprio coltivato, istruito, studiato, affinato vocabolario. E poi, l’ispirazione di un uomo per giungere davvero alla sua realizzazione, dovrebbe essere quella di diventare padrone di un altro uomo e, con le sue tante parole imparate, ammaestralo per subordinarlo ai suoi interessi economici? Quella di Don Milani è, ora come allora, una affermazione un po’ troppo da preddacchione, si potrebbe pure dire dalle mie parti, espressione che potremmo tradurre nella figura di un prete un po’ semplice – “semplice”, ingenuo vuol dire da noi. Quando invece è vero che la conoscenza delle parole e del loro utilizzo ha troppo spesso segnato la condanna a morte dell’uomo che le ha apertamente utilizzate per esprimere il proprio libero pensiero, basti avere ad esempio Gesù di Nazareth, o quelle che erano le parole di Gramsci, o, ancora più vicino, del Nostro Capuani.

Ma poi l’uomo, da che uomo è uomo, è stato sempre dotato di una sua propria intelligenza del fare, del fare cose con le mani, come quando ha cominciato a scheggiare la pietra per farne un’arma da punta e da taglio utile alla caccia, e da quella pietra ha scaturito la scintilla e dalla scintilla il fuoco e dal fuoco il ferro e le prime leghe – come quando con le mani ha cominciato a decorare le sue grotte, la sua casa. E che ce ne faremo tra poco di tutte queste mani, e delle loro intelligenze?

E si porta ancora avanti, da padre in figlio, questa catena a strozzo del padrone – ma non crediate che io stia qui a svelare un mistero.

MASSIMO RIDOLFI

Ph.: manoscritto originale di The Murders in the Rue Morgue di Edgar Allan Poe (1809-1949).

 

Galleria
Condividi:
Navuss UniTe 300x300.jpg
banner_agena-300x300.gif
navuss 3.jpg
Domiciliazione bancaria  300x300-2 (1).jpg
ULTIMO MENSILE
Navuss UniTe 300x300.jpg
banner_agena-300x300.gif
navuss 3.jpg
Domiciliazione bancaria  300x300-2 (1).jpg
WhatsApp Image 2025-02-01 at 12.16.27.jpeg
RONCAROLO 300x300, tutti i loghi.png
bim 300x300.jpg
Antiq.Acquisto.jpg
Unknown-2.jpeg
Navuss è un progetto di comunicazione integrata che prevede la pubblicazione mensile di un periodico, un sito web di informazione quotidiana per poi inserirsi nel panorama televisivo ed editoriale senza tralasciare l'organizzazione di eventi culturali e formativi.
Direttore responsabile: Serena Suriani | Registrato presso il Tribunale di Teramo con iscrizione n°711 | Contatti redazione: redazione@navuss.it - Tel. 347 1579967 | Contatti commerciale: commerciale@navuss.it - Tel. 320 3553940 | PEC: navuss@pec.it
Copyright © 2025 NAVUSS APS ETS. Tutti i diritti riservati - P.IVA e C.F: 02113590679 - Domicilio fiscale: TERAMO, VIA AEROPORTO 14/A
Condizioni e termini di utilizzo - Privacy - Cookie Policy - Dati societari - Note legali