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EDITORIA: LETTERATURE INDIPENDENTI - CORALE DI VOCI ALTRE - MICHELE NIGRO - ELEGIA DEL CONFINO

Cultura  | 24 November 2024

Letterature Indipendenti, il progetto editoriale dello studioso teramano Massimo Ridolfi, apre ad altri autori e, facendo tesoro della sua personale ricerca sulla poesia italiana contemporanea titolata Testo e Voce - Esperimenti di lettura poetica: dire poesia, iniziata il 29 ottobre 2019 e che troverà termine il 31 dicembre 2025, ricerca nata con l’intento di riportare la poesia alla musica di cui ogni parola che la compone è custode, inaugura la Collana Corale di voci altre - Collezione Poesia Italiana Contemporanea.

Massimo Ridolfi, ideatore e curatore della collana, dichiara:

«Nel gennaio scorso Michele Nigro, poeta campano ma di origini lucane, mi chiese se il mio progetto editoriale, Letterature Indipendenti, fosse aperto ad accogliere altri autori, essendo stato ideato esclusivamente per la pubblicazione, diffusione e promozione dei miei lavori. Invero, in passato altri autori prima di lui mi hanno posto lo stesso quesito.

Di primo acchito risposi appunto di no, che Letterature Indipendenti è solo il mio modo di liberarmi dalle grandi e piccole pastoie dell’editoria tradizionale, con la quale non ho proprio nulla da spartire in quanto  il sottoscritto si occupa di Letterature Indipendenti dal mercato dal prodotto dal Capitale, in poche parole di ciò che non è facilmente vendibile – ma resta, soprattutto, sostanziale e strutturale esempio di una azione politica che invita tutti gli scrittori di valore a fare altrettanto con il fine di fare Letteratura e non più intrattenimento di massa o, peggio ancora, prestarsi al ruolo di burattino e marionetta in presuntuosi teatrini letterari tenuti da imbarazzanti personaggi nelle vesti di Mangiafuoco.

Poi, nel tempo di un secondo, mi si accese una lampadina: Ma, in realtà, mi sono sempre occupato principalmente del lavoro di altri autori, come critico, mi sono detto – tutto chiuso dentro lo spazio di una mente folle ma sempre desiderosa (la mia), con Testo e Voce, per esempio, studio che raccoglierò in volume nel 2026, al termine dei programmati cinque anni di ricerca.

E allora è a questo punto del mio sragionamento che ho deciso di dedicare una collana solo alla poesia italiana contemporanea:“Corale di voci altre”.

La collana prevede la pubblicazione di un solo volume l’anno perché, seriamente, non è possibile per nessun editore pubblicare più di un libro l’anno di poesia; vale a dire che non è possibile entrare e vivere nell’opera di un poeta per più di una volta l’anno, a meno che non ci si voglia ridurre a stampatori di libri invece che restare editori, soprattutto se si vuole proporre non semplicemente dei testi da leggere ma degli strumenti di studio, prerogativa principale di tutte le pubblicazioni liberate da Letterature Indipendenti sotto la mia severa e vincolante direzione; e gli autori che selezionerò saranno invitati da me personalmente a inviarmi la loro silloge, ai quali proporrò una bozza di contratto, che poi è quello che offro agli autori stranieri che scelgo di tradurre.

Ovviamente, sarò io a investire tempo studio e risorse sulle pubblicazioni nelle qualità di ideatore, curatore e titolare unico della collana “Corale di voci altre” e di Letterature Indipendenti, quindi non saranno richiesti agli autori, in alcuna forma, contributi di carattere economico.

L’unico obbligo cui dovranno rispondere gli autori che selezionerò, sarà quello di inviarmi un libro nel quale credono davvero.

E ritorno sempre alla poesia perché, delle arti, è la prima che salverei e porterei con me oltre la fine inevitabile di questo mondo: quando ci si avvicina alla poesia, che è una amante assai volubile perché richiede una assidua frequentazione, si ha come la sensazione che oltre non ci sia più nulla, che non ci sia nulla di più alto e misterioso di una poesia.»

La collana Corale di voci altre, che prevede appunto una sola pubblicazione l’anno, si inaugura quindi con Elegia del confino - un diario in prosimetro di Michele Nigro, già disponibile in esclusiva sulla piattaforma Amazon (link: https://amzn.eu/d/8uyFrT2 ).

Per la collana Corale di voci altre, seguiranno le seguenti pubblicazioni:
2025 L'amuri nun avi tituli di Gaetano Capuano;
2026 I giardini di Cordova di Dino Villatico.

In anteprima si pubblica di seguito la nota del curatore contenuta in Elegia del confino - un diario in prosimetro di Michele Nigro, Letterature Indipendenti, Teramo, 2024, pp. 7-9.

*****

 

IL CENTRO DEL MONDO
(una nota di curatela)


“Quello che per voi è il centro del mondo
per me sarà la periferia della ricerca.”
Michele Nigro

 


È il testo di un esule anarchico questa Elegia del confino che ci consegna Michele Nigro. Ed è un dettato che necessita del verso e della prosa per portare a compimento il racconto. Quindi ha bisogno di tensioni e distensioni: ha bisogno del tempo del respiro della corsa e del riposo, dove distendersi nel ricordo che accomuni generazioni, di padre in figlio, e di madre in figlio; e senza cedere a facili filosofie astratte ma rimanendo con i piedi ben piantati sul terreno dell’esperienza, atteggiamento che fa dello scrittore un saggista perché sempre fedele al dire delle parole per farne un dettato di Nomi e cose per non rischiare il dimenticatoio, come già avvisava Leonardo Sinisgalli quasi mezzo secolo fa, per “Riscoprirsi foglia viva / sui rami della pratica.” (p. 27).


Allora è giusta la forma del prosimetro per cercare di giungere al senso di questo testo, di questa scrittura che è ricerca. Ricerca che si fa indagine delle democrazie (democrature, sottolinea da subito l’autore, p. 17) a partire dai tempi del confinamento da Covid-19 – dai tempi perché la massa appare già dimentica di quanto accaduto come fosse un fatto remoto, già storicizzato e insegnato sulle morte pagine dei libri di scuola, e l’autore qui ne propone un geniale capovolgimento di senso, una vertigine.

 

E qui Nigro pare volere approfittare di questa amnesia delle masse per ritrovare e ritentare una libertà dell’isolamento, del distanziamento da tutto quello che ha la presunzione di numerarci e leggere tutti uguali: “Andare al ‘confino volontario’, oggi, significa realizzare un ‘ritorno’ in se stessi, in luoghi dell’anima, in tempi perduti, in dimensioni che non interessa quasi più a nessuno esplorare.” (p. 17). Assunto questo del poeta campano che presenta programmaticamente questa sua opera tra interiorità e esteriorità, duello esistenziale che caratterizza e forma l’arte intera da sempre. Confino volontario come tempo proprio e inviolabile del singolo individuo, non mutuabile, non alienabile, in nessun caso riconducibile al prodotto, tempo utile a risalire l’origine dell’uomo.

 

Ma il poeta non è un ossesso perché è l’artista che più di altri sa misurare il suo dire, e così sa riconoscere i limiti dell’isolamento come quelli del sovraffollamento. Allora sceglie una casa, “una vecchia casa di famiglia” (p. 19) per cominciare il suo racconto del sentimento del tempo e se ne prende cura anche per noi eleggendola a simbolo ideale della Memoria, a preziosa testimonianza di un sapere collettivo e rifugio dove tornare a risanare: “Mi consola il fatto / che troverò l’Antologia / nel posto esatto in cui l’ho lasciata / al termine dell’ultima fuga” (p. 21).

 

Quindi Nigro pare procedere per recuperi architettonici, costruzione, guscio sacralizzato dell’uomo proprietario, perché: “Infinita è la poetica dei sottotetti: raccolgono nel corso degli anni materiali in esilio dal quotidiano” (p. 23), donandoci un esempio mirabile della concretezza della letteratura. Ma cosa è una casa se non una scatola dove riporre gli oggetti delle nostre memorie, particole che ci rendono simili delle evidenti diversità. Ma anche la “vista notturna di una via di paese deserta” (p. 25) rappresenta concretamente l’esito di un disegno architettonico. E così ci racconta di un luogo che non necessita di essere nominato perché è vivo in ognuno di noi, e sappiamo bene riconoscerlo e richiamarlo anche senza usare la voce: siamo già stati lì in qualche modo dei vivi, e dei morti.

 

Dicevo che questo è il testo di un esule, e anche di un anarchico che vuole tornare a gustare il sapore sapiente del silenzio, e goderne. E per giungere a questo bisogna tornare all’arcaico, interruttore che spenge la modernità al solo scopo di conservare dal brusio l’essenza vera dell’umano esistere i giorni – perché a giorni si vive. Arcaico rimasto certamente nelle magre contrade delle campagne del petroso entroterra appenninico, ritorno naturale del poeta, rigenerativo seme della rinascita: “Ho firmato un armistizio / con quel mondo che solo mi tocca / quando l’urna si riapre / ma non dei morti.” (p. 30). Armistizio, atto che, sappiamo, non garantisce alcuna falsità di pace ma, al contrario, promette la piena riuscita di un prossimo massacro.

 

E il poeta campano non cede mai alla malinconia in questo suo riportato viaggio ideale; mai in un momento questo suo testo lagna un passato migliore: sempre lucido e attento sta nella sua analisi del tempo secolare: “La nostra riconoscenza non dovrebbe andare solo a persone in carne e ossa protagoniste di determinate epoche, ma soprattutto a due elementi fondamentali della storia dell’umanità: il legno e il ferro.” (p. 42). Batte il tempo certo e incessante della concretezza in questa sua opera Michele Nigro. E bisogna farsi archeologo per avventurarsi in questa lettura che conduce a un viaggio verso un luogo lontanissimo eppure prossimo: la Memoria, e “perdonate il passante / che non ascolterà / il grampasso distratto / da altre glorie terrene.” (p. 49). E si ha la sensazione come di camminarci dentro questo libro, di rifare con l’autore gli stessi passi, di godere reciprocamente della presenza di un compagno al fianco, e insieme di riragionare l’esistenza dal centro del mondo, luogo espanso dove il caso non esiste, e dove le strade, a un certo punto, si incontrano tutte per ritrovarsi tutti dentro una fragorosa risata in faccia all’inutilità di questa rincorsa che si è fatto della vita.

 

È, innegabilmente, il libro di un uomo vivo qui e ora quello che ha consegnato alle Nostre lettere Michele Nigro; atto civile perché indica la marcia reiterata di una possibile via di convivenza con la modernità; che si fa lunga e insistita preghiera di autoesorcismo dal demone della modernità, rosario laico e guida sapienziale quindi, e testimonianza di una rustica esistenza, vale a dire di manufatto di terra e saliva che si raffina lavorando la materia sempre viva e informe che tutti noi possiamo trovare nel luogo della memoria riservato all’esperienza, che ci accomuna, che qui ha prodotto questo testo vivo e vibrante come un interrogativo.

 

Massimo Ridolfi

 

Teramo, 7 ottobre 2024

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