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LIBRI: MANUALE DI SCRITTURA HAIKAI

Cultura  | 23 May 2025

LIBRI: MANUALE DI SCRITTURA HAIKAI

«[...] il poeta capirà da sé che esiste una sensibilità tipica del genere haikai, la quale è universale, poiché trascende lo spazio e il tempo.»
Antonio Sacco

Il mio primo incontro con gli haiku risale alla mia gioventù e al mio amore per Jack Kerouac, il poeta che amo di più in assoluto, Il Genio. È attraverso lo studio della sua opera che ho appreso l’esistenza di questa raffinatissima forma di poesia, forse la più concreta perché si serve di una minuteria linguistica raffinatissima che concede pochi pezzi a “mosaico”. In Occidente è stato probabilmente proprio Kerouac il primo a tentare di questa tecnica compositiva una riproducibilità da questa parte delle lingue globo terracquee, però, tutta occidentale, per forma e “sensibilità” – prima di lui in realtà tentarono, ma senza troppa convinzione, Ezra Pound, William Carlos Williams e, addirittura, Wallace Stevens. Kerouac, iniziatosi allo studio del buddismo, si dedicò, con disciplina, allo studio e alla scrittura di poesie haiku assiduamente e continuativamente per ben dieci anni, certamente dal 1956 al 1966, annotando centinaia di componimenti di tre versi sopra i suoi leggendari taccuini. Ecco, è qui che l’immenso poeta di Lowell traduce e trasforma la tradizionale poesia giapponese di diciassette sillabe sui tre versi (i canonici 5-7-5, non rimati) in haiku occidentale, e raccomanda che tale componimento: “[...] deve proporsi semplicemente di dire molto in tre versi”, che siano semplici, liberi da inutili imitazioni metriche della forma originale, e in grado di rendere immagini lievi eppure profondissime. L’haiku, più di altre tradizioni, è la poesia dell’illuminazione visionaria per eccellenza – è quel M’illumino d’immenso, ed è un felice ritrovamento vedere in una nota di questo libro citato proprio il poeta di Alessandria d’Egitto (n. 26, p. 47).

Questo lavoro sulla poesia di tradizione giapponese di Antonio Sacco mi giunge quindi graditissimo e, un po’, mi ringiovanisce pure; e molto mi incuriosisce perché l’autore ci dice: “Questo manuale si propone di essere una guida pratica per redigere non soltanto poesie haiku, ma anche altre forme poetiche di origine giapponese quali la tanka, il senryū, lo haibun e lo haiga.” Quindi quello che ci troviamo di fronte e tra le mani non è un libro semplicemente da leggere ma da studiare, concezione del lavorare dello scrittore che molto mi corrisponde quella di concepire libri come utili strumenti, come lo è, per esempio, un cacciavite quando si ha bisogno di svitare una vite. Quindi userò questa lettura per svitare e meglio riavvitare le mie magre conoscenze della poesia giapponese.

In questo suo lavoro Sacco tiene subito a dirci che lo studio della poesia giapponese serve innanzitutto a capire se si è portati a farla, vale a dire se si ha il talento per riuscire a isolarsi nell’osservazione della Natura e sintetizzare questa delicata azione nella brevità della forma prescritta. Invero, questa attitudine all’osservazione della Natura non è affatto esclusiva della tradizione nipponica ma appartiene a tutta la poesia, solo che su quell’emisfero tutto assume una chiave di interpretazione del ruolo del poeta tra atto di religione e atto di filosofia: quale poeta non osserva la natura, a partire dal suo più prepotente protagonista, l’uomo appunto? Nessuno; sicuramente nessun poeta può distrarsi dall’osservazione della Natura, perché la poesia prende sempre spunto da una lirica delle cose, animate o inanimate che siano.

Ma torniamo allo strumento libro. A questo libro.

In principio c’è da rilevare che lo studio pratico proposto da Sacco, rapido ma non nozionistico perché sempre appassionato, riguarda esclusivamente l’osservazione e la resa della stretta tradizione originale giapponese in lingua italiana (e parrebbe, tra l’altro, la sua reinterpretazione più convincente soprattutto nella forma de l’haibun, che potremmo avvicinare al nostro prosimetro, pp. 93-97: straordinario il testo Nakba, del tipo tiny haibun, portato a esempio e opera dello stesso autore, pp. 96-97) e non ne considera derivazioni già occidentalizzate: “Il piccolo kigo, il kigo misuralis e il kigo temporis sono un’invenzione tutta italiana e non hanno alcun riscontro nella storia della letteratura giapponese.” avvisa lo studioso dimostrandoci la misura della sua esattezza scientifica.

Il tentativo dell’ideatore di questo particolarissimo manuale, è allora quello di mettere a punto una chiave di registro utile a dare la esatta forma italiana a tutta la poesia di tradizione giapponese haikai no renga, cioè non lunghi testi poematici (renga) ma singoli componimenti d’occasione (la poesia, se è Poesia, è sempre d’occasione, sia chiaro, al netto di revisioni e altri lavorii), quindi haiku, tanka, senryū, haibun e lo haiga, della quale ci offre un cenno storico introduttivo (pp. 15-19); e trattandosi di manuale, quindi di un libro sulla pratica e giammai sulla teoria compositiva, ciò è sufficiente per provarsi a mettere (prima in studio e poi in atto: si tenga subito presente, durante la lettura, l’utile glossario, pp. 131-138) in forma una poesia haikai il lingua italiana: “Tutto ciò l’ho inteso come un viaggio e come un percorso poetico nella composizione di questi tipi di poesie.” (pp. 17-18). Quindi Sacco vuole condividere con il lettore la sua personale esperienza di studioso e autore (haijin) dentro la tradizione giapponese (a proposito di veda il capitolo I meccanismi dell’ispirazione poetica, pp. 79-84: “Lo haiku qui riportato ha, infatti, una valenza didattica, rappresentando un caso-studio.” p. 83); e questo che ci propone pare subito un andare agile e pratico appunto, senza incagliarsi in melmose teorizzazioni, sempre inutili, lasciando nelle mani del lettore anche un utile strumento di autoverifica (a proposito si veda il capitolo Sezione commentata, pp. 109-118, dove propone una analisi formale e comparata tra testi haiku che tradiscono la forma tradizionale, quindi errati, e altri, invece, corretti perché redatti con fedeltà dentro il solco della tradizione nipponica).

Significativa in questo senso è la semplificata sezione dedicata allo schema metrico, con proposta di esercizio e soluzioni (in coda, pp. 123-129) offrendo a esempio componimenti dello stesso autore, che distingue il conteggio sillabico ortografico da quello sillabico metrico, entrambi possibili nel componimento haiku ma mai mescolabili (pp. 22-30); come pure in quella dedicata ai motivi di un non impianto ritmico, sempre detto in chiave pratica, cioè dentro un dire fattuale, che sia utile, che serva (pp. 30-32). Fondamentale è la sezione dedicata al kireji, la censura, lo stacco, l’azione davvero caratterizzante della poesia haiku perché sa dividere ma non separare due diverse immagini all’interno della stessa visione – particolare la scoperta di haiku monoverso, monoku (pp. 32-38), e l’analisi funzionale con la quale sono riportati in tutto il testo di Sacco i casi principali e particolari della tradizione di poesia nipponica applicabili nei codici della nostra lingua.

La primaria utilità di questa pubblicazione è quella di offrire un ingresso concreto verso un genere letterario invero poco conosciuto in Italia se non superficialmente; possibilità che apre a un più ampio approfondimento. Ma più di tutto è preziosa l’aperta bottega artigiana che Sacco ci invita a visitare, mostrandoci tutto il suo dedicato amore allo studio della poesia giapponese.

MASSIMO RIDOLFI

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