POESIA: HEINRICH HINATA NAKAMURA
Lo ripeterò fino allo sfinimento: ci sono due momenti diversi e indipendenti nella vita di uno scrittore, scrittura e pubblicazione. Ma dei due, il più importante resta il momento della scrittura.
Ecco allora che mi trovo tra le mani questo Quaderno privato dello haiku di Heinrich Hinata Nakamura, titolo lungo, wertmulleriano, antieconomico, respingente, contraddittorio, volendo essere un libro di poesie, haiku appunto, la minima spesa per la massima resa poetica – Ma ho detto libro?...
No! Non è un libro, quello che ho adesso in mano. Non dovete immaginarlo come un libro ma come una scatola. E dovete immaginare questa scatola spinta nell’angolo più angoloso e ragnatelloso di una soffitta, o a impuzzolire tra le muffe di un fondaco dov’è più umido e fondo. E immaginate una piccola scatola, bianca ma con il coperchio rosso; e immaginate che sullo sfondo rosso del coperchio rosso ci sia stampata la foto di un bambino, che stringe un peluche tra le mani, un cane; e immaginatelo questo bambino tutto imbacuccato, cappello sciarpa guanti e doposci; e immaginatelo questo bambino che ci guarda con i suoi occhi a mandorla – Sì, è un bambino giapponese.
Adesso immaginate, resistenti alle ragnatele della soffitta angolosa o alle muffe del fondaco fondo, di aprire con me questa scatola e di trovarci dentro due foto dello stesso bambino stampato sul coperchio della scatola ma in bianco e nero o virate sui grigi e, tra le due foto, decine di fogli più vuoti che pieni, più bianchi che scritti: haiku.
Vi chiedo un altro sforzo di immaginazione, e poi vi lascio stare alla vostra pace o alla vostra guerra: immaginate che quella soffitta, con tutti i suoi angoli e ragnatele, o quel fondaco, con tutte le sue fonde muffe, si trovino a Berlino e che nel frattempo siano passate due guerre mondiali, “un topo con il baffetto sotto il naso che parla alla radio” e altre schermaglie tra Oriente e Occidente, e che ci si trovi primi e soli davanti a quella scatola che era chiusa e che tutto, quand’era chiusa, ha conservato.
MASSIMO RIDOLFI