Logo Navuss

POESIA: PAROLA E CANTO

Cultura  | 01 May 2025

POESIA: PAROLA E CANTO

«È oro, Mammina, quel che strappiamo
e spogliamo di spighe a mani nude?
Il nostro oro di chicchi chiuso in sacchi,
e l’altro tondo, avvolto in fasce.»
Emma Stopelli


Emma Stopelli annuncia questa sua silloge d’esordio come voce solista con due epigrafi: “Fermati un giorno e una notte con me e dominerai il principio di ogni poesia”, Walt Whitman, Leaves of grass, Song of Myself II, e: “Per noi, c’è solo l’esperienza. L’immobilità non è affar nostro.” Thomas Stearns Eliot, Four Quartets, East Coker V, testimoniando che non si arriva mai davvero nuovi al mondo ma sempre si giunge dal dato esperienziale – da tutto quello che ci ha preceduto, accompagnato e formato. Difatti, questa della Stopelli è una sintesi scrittoria lungamente meditata, macerata e poi distillata tra canto e segno linguistico, tra canto e parola, tra parola e canto. Questo è un esordio, insomma, maturato nei silenzi e nelle attese che poi fanno sulla carta lo scrivere versi. Vale a dire il testimoniato misterioso formarsi della Poesia nell’animo umano.

La Poesia è un manufatto dell’uomo. Un oggetto. Un prodotto non del pensiero ma dell’azione. La Poesia principia nell’animo umano dando subito azione al gesto della scrittura, non permettendo all’attore nessuna occasione di pensarla la sua poesia, vale a dire la propria azione. La poesia, se è Poesia, è sempre il riprodursi attento di una immagine inattesa. La poesia, se è Poesia, origina sempre da un vuoto di pensiero e di coscienza. Ed è in questo spazio che il poeta si pone in azione e ordina (domina) quello che trova principio nel suo animo per dargli forma, cioè per renderlo visibile al mondo.

Quindi immaginiamo anche questo poeta nell’azione di ordinamento della propria poesia, che pone le sue parole come mattoni di una costruzione dell’esistere via via più complessa tentandone, però, una semplificazione: fare poesia, mettersi a scrivere versi per renderla visibile al mondo, è un modo di esistere. È un modo di stare al mondo. È sempre uno stare all’erta sul precipizio del mondo.

Ma Stopelli ci offre una immagine più convincente del muro, perché ci racconta subito di un arcolaio utile a dipanare la matassa dei ricordi intorno ai quali ha filato paziente questo suo libro, che ci appare, qui e ora, come un tessuto a stampe perché questa sua silloge è ricca di immagini che ci riportano innanzi a noi stessi, che “srotola su dal pozzo / del Tempo una Storia” che sia dell’uomo, ovvero un raccontare rilevante perché ci riguarda – ri guarda. E ci tocca pure, per ridestare il nostro sguardo alla Natura: “Corpo a corpo il sole sfiora i papaveri, / infiamma i campi di pudore, le spighe / e i vanitosi frutti, pomi pieni d’estate.” (S. Anna).

Per riportarci a osservare la Natura e al suo più prepotente attore, vale a dire all’uomo, il poeta torna a indicarcene forme suoni e colori: i gialli, i rossi, i celesti, gli azzurri, incastrando così un dettato sinestetico che ecciti i nostri ricordi, utili a ridarci nostre le immagini della sua poesia. E così, immersi nella sintesi del testo, partecipiamo noi stessi, attraverso la lettura, allo scavo che tenta Stopelli in questo suo personale confronto con il mondo: pubblicare letteratura significa sempre confrontarsi a mani nude con il mondo. Mettersi frontali all’esistere, qui e ora, e stupirsi (si scrive dello stupore, sempre) che “Una bici striscia furtiva i sanpietrini” (Alla Certosa - I), che potrebbe sembrare ai più distratti un dato secondario, quando non lo è affatto perché ci offre una immagine che ci accomuna, che ci ritrova simili, che “disseti l’arsura dell’anima” (San Lorenzo) –  che cosa è se non il riconoscimento dell’altro la fonte di un sapere che sia davvero dissetante. E questo poeta non volge ipocritamente le sue parole alla bella novella perché sa farle bene incrudelire ai fatti dell’umano: “[...] acuto / il ferro ti punge / il ventre. // Ed un cucchiaio accoglie il nostro sigillo / gelido di vagiti - / informe.” (Il vaso vuoto).

I poeti ci servono per tentare di sostenere quella angolatura scomoda che a volte ci porta ad assumere il vivere vivendo, che può torcerci fino al più acuto dolore, ma che ci è utile a vedere dal vero le cose. Che è sempre una possibilità non di facile raggiungimento. Richiede abitudine; l’abitudine che riesce dall’allenamento alla lettura di poesia, scritti che non seguono la logica del pensiero ma si danno alla cattura spietata e spietante delle immagini.

E questo poeta canta tutte le sue parole: “Ed ho incurvato il sentire alle ossa / fino a dubitare se fossi viva, / o già morta).” (Dormite begl’occhi). Ed è un talento, cioè una naturalezza chiara nella scelta dei suoni, che ridanno, a ridirle, solo le parole appoggiate bene al foglio – e non le lascia stare se non ne risente il suono, la nota, che è capace di risuonare solo il corpo umano abituato al sentire. E Stopelli non si nega alla dissonanza: “Tutto il cielo sta in una pozza, / coppa in cui una foglia si accartoccia / e il pistillo appassisce.” (Campagne dell’autunno) – dissonanza che costringe a una sosta di senso, a una fermata sulla parola.

E Stopelli non si nega neanche alla rudezza del sentire. E si inserisce negli infarti della vita. Ci dice gli scricchiolii che accompagnano i giorni sempre tesi dell’uomo, questo essere più di altre creature sospeso tra il cielo e la terra: “[...] topi che rosicchiano le croste / avanzate, sotto la tovaglia a quadri.” (La merla), che “[...] stremati, per la fabbrica / abbandonano la morra, le bocce, / le grondaie e i tetti.” (Disgelo), che come “vasi si spaccano vuoti / in questa terra muta di disperazione.” (Disgelo). E giusta è la nota che pone il poeta a fine di questo raccolto lavoro, che denuncia un amore e un addio alle terre che l’hanno seminata, cresciuta e colta, dalle quali si allontana nuova.

È un libro di sostantivi questo, di nomi, di richiami. Di appelli. È un libro di rintracciati discorsi su ciò che si è dal vero veduto e sentito. È un libro di terre lavorate. Umide e arse – e di superfici camminate a piedi nudi. E di ambienti. E di raccoglimento. È un libro religioso perché cerca un legame alto con l’esistenza. Scorrono come grani di un rosario alla lettura queste poesie – che vibrano le labbra a dirle piano, dentro un sussurro di preghiera, così composte, minime, ben strette dal bianco di ogni pagina dove non sbava di troppo una sola parola.

MASSIMO RIDOLFI(1)

 

1.      estratto integrale dalla postfazione a Grani d’oro di Emma Stopelli, Chiare Voci, 2025, pp. 73-77.

 

Galleria
Condividi:
Navuss UniTe 300x300.jpg
banner_agena-300x300.gif
navuss 3.jpg
Domiciliazione bancaria  300x300-2 (1).jpg
ULTIMO MENSILE
Navuss UniTe 300x300.jpg
banner_agena-300x300.gif
navuss 3.jpg
Domiciliazione bancaria  300x300-2 (1).jpg
WhatsApp Image 2025-02-01 at 12.16.27.jpeg
RONCAROLO 300x300, tutti i loghi.png
bim 300x300.jpg
4.png
Unknown-2.jpeg
Navuss è un progetto di comunicazione integrata che prevede la pubblicazione mensile di un periodico, un sito web di informazione quotidiana per poi inserirsi nel panorama televisivo ed editoriale senza tralasciare l'organizzazione di eventi culturali e formativi.
Direttore responsabile: Serena Suriani | Registrato presso il Tribunale di Teramo con iscrizione n°711 | Contatti redazione: redazione@navuss.it - Tel. 347 1579967 | Contatti commerciale: commerciale@navuss.it - Tel. 320 3553940 | PEC: navuss@pec.it
Copyright © 2025 NAVUSS APS ETS. Tutti i diritti riservati - P.IVA e C.F: 02113590679 - Domicilio fiscale: TERAMO, VIA AEROPORTO 14/A
Condizioni e termini di utilizzo - Privacy - Cookie Policy - Dati societari - Note legali